Per ricordare Don Giorgio Morlin pubblico l’orazione funebre che ho tenuto in cimitero il giorno del suo funerale
Caro Don Giorgio
ti saluto prima di tutto come amico, per quell’amicizia sincera e profonda che abbiamo condiviso per una parte della nostra vita, fatta di comune passione per la storia di Caerano, per le vicende politiche di questa nostra Italia, per le valutazioni sul ruolo della Chiesa nella società italiana, per i valori etici e sociali che abbiamo ritenuto nostri.
Tu religioso, io laico, ci siamo incontrati sul terreno promiscuo della Fede e della Ragione, sulle orme di un teologo apprezzato da entrambi, come Vito Mancuso, ed anche di un frate messianico, come Davide Maria Turoldo, che tu hai conosciuto e di cui mi hai raccontato questo episodio, che ci fa capire a quale scuola sei stato educato.
Questo il racconto di Don Giorgio.
– Mi ricorderò sempre la prima volta che ho incontrato Padre Davide Maria Turoldo assieme ad alcuni amici, attorno al 1968, nel suo eremo a Sotto il Monte. Io, un po’ intimidito, mi sono rivolto a lui con queste parole: “Reverendo padre!” E lui, puntandomi il dito, mi rispose con determinazione: “Non chiamarmi reverendo! Solo tua madre è da riverire!“ Una semplice espressione verbale come grande lezione di vita che mi ha segnato nel profondo e guidato nel mio itinerario sacerdotale. –
Caro Don Giorgio, sei stato un prete coraggioso, come Davide Maria Turoldo, sei stato uno di quei sacerdoti e di quella Chiesa, chiamiamola pure militante, che si sono esposti sempre, che non hanno frequentato il limbo dell’indifferenza, del non schierarsi mai, spesso in contrasto con i tanti, anche tra il clero, che in passato sono stati perfino conniventi o complici con una classe dirigente italiana che spesso ha dato cattiva prova di se stessa, calpestando i valori politici, etici e sociali in cui credevi, in cui abbiamo creduto, sempre restando, per quanto ti riguarda, nell’ambito della tua profonda fede cristiana.
Hai avuto il coraggio di scrivere su diversi giornali e periodici cattolici le tue idee, le tue critiche, anche ad alcuni atteggiamenti del clero e delle gerarchie ecclesiastiche, sempre con passione e purezza di cuore. Me li mandavi in anteprima, questi articoli, non per farmi sapere che eri “bravo”, ma per instaurare con me un dialogo, un confronto ed una fruttuosa discussione. Ne hai pagato anche le conseguenze, finendo sui giornali locali e nazionali, come “Prete Rosso”, cosa che di questi tempi sembra perfino una barzelletta, e difatti ci scherzavamo su ed io ti prendevo anche in giro benevolmente.
Caro Giorgio, credimi, sei stato un grande prete ed un grande uomo! Uno dei pochi che mi hanno fatto sentire sfiorato dalla mano di Dio.
Ti saluto, poi, anche come rappresentante di questa amministrazione comunale e di tutti i cittadini caeranesi, nella tua veste di storico locale, delle nostre “microstorie”, come tu le definisci, nelle quali (sono parole tue) “…c’è una percezione soggettiva e coinvolgente dove emergono non i problemi generali ma i volti concreti degli uomini che hanno un nome ed un cognome; non l’analisi scientifica dello studioso ma l’emozione partecipante del protagonista; non le sedi ufficiali dove si firmano gli accordi politico-militari ma i luoghi umili del vivere quotidiano dove trovano spazio vitale i sentimenti positivi o negativi dell’uomo”.
Ecco allora i tuoi volti, le emozioni, i fatti quotidiani, le tue storie sull’eccidio della famiglia Stecca, sulle lettere ed i drammi dei soldati italiani in Russia, sulle vicende della Resistenza locale e della Brigata “Nuova Italia”, sulla storia della Chiesa caeranese e trevigiana e dei fratelli sacerdoti Camillo e Ferdinando Pasin.
Grazie per avermi avuto, per averci avuto tra i tuoi amici e siccome sei vissuto bene, senza pesi sulla coscienza, ti saluto come era solito fare Gianni Brera, grande giornalista italiano, con i suoi amici: “Ciao Giorgio, ti sia lieve la terra”.