tadina: una cooperativa costituita dai proprietari di tutte le case in abbandono e da altri soggetti pubblici e privati, che procede al restauro delle abitazioni per poi darle in concessione a persone che vogliano stabilirsi o soggiornare a Fluminimaggiore, con agevolazioni di affitto e fiscali.
Siccome il paese si trova a 20 minuti dallo splendido mare della zona, il progetto sembra destinato a funzionare.
Il giorno dopo, malgrado il tempo problematico, con vento e pioggia, siamo partiti per visitare l’area archeologica di Antas, un sito interessante che comprende i resti di un antico villaggio e di una necropoli nuragica, quelli di un santuario punico ed infine le residue colonne del tempio romano, inserito in un contesto suggestivo, tra verdi selvatici e pecore al pascolo.
Per il pranzo siamo saliti faticosamente, lungo una strada impervia e tra boschi di splendidi sughereti, fino alle sorgenti di Pubusinu dove abbiamo pranzato, fino alle 4 del pomeriggio, in un agriturismo eremitale, gestito con i genitori da un giovane appassionato della tradizione culinaria sarda e di prodotti genuini, che abbiamo introitato in abbondanza, incerti tra il giusto desiderio di non tralasciare gusti e sapori in buona parte inediti e la preoccupazione per la cena serale che ci attendeva, dopo poche ore, altrettanto sostanziosa e promettente.
Nelle ore restanti del pomeriggio abbiamo visitato il sito minerario di Su Zrufuru, in faticosa fase di restauro, dove comunque resiste all’ingratitudine del tempo un generatore di corrente idroelettrico, connesso alla fonte di Pubusinus, il primo in Sardegna, risalente al 1985. Questa importante miniera, scoperta nel 1889, era stata data in concessione prima ad una società inglese la Victoria Mining Limited Company e poi alla Pertusola Mining Ldt, che la portarono all’avanguardia tra le miniere dell’epoca, dotandola anche di laveria con impianto di flottazione, rete ferroviaria e teleferica.
Ebbe vita alterna fino alla sua definitiva chiusura nel 1993.
Terminata la visita, tanto per restare in tema di vita sotterranea, ci siamo calati nelle grotte di Su Mannau. Un festival di trine e merletti carsici, con sfumature di verde, di rosso e di bianco, filtrate da magiche acque penetranti la generosa roccia, stalattiti e stalagmiti dalle forme sempre originali, che solo una millenaria natura riesce a creare.
Il secondo giorno siamo partiti per Buggerru, una cittadina sul mare, con scarse tracce del fiorente periodo minerario, dove abbiamo visitato la Galleria Henry, entrando questa volta nel ventre della terra, nelle gallerie scavate con tanta fatica dai minatori sardi ed italiani, percorse in parte con il vecchio trenino ed in parte a piedi, sfociando ogni tanto alla luce di un’alta scogliera di picchi e di rocce colorate, sferzate da un mare burrascoso, ad osservare i voli radenti dei gabbiani maschi e le pacifiche cove delle femmine, in mezzo ai fiori primaverili arrocati sulle scoscese pareti costiere.
Dopo un lauto pranzo a Portixeddu, da zi’ Maria, ci siamo goduti il mare di questa parte della Sardegna, prima a Cala Domestica, un antico centro d’imbarco dei minerali estratti dalle miniere locali, e poi a Capo Pecora, esposti, soprattutto quest’ultimo sito, alla violenza del maestrale, con flutti ricorrenti e spumeggianti, che l’opposizione di rocce solide e scure scagliavano in alto, a perdersi nel vorticoso vento occidentale.
Conclusione della giornata nella splendida casa del nostro amico Carlo, situata in una altura impervia prospiciente il lontano mare, circondata da una natura ancora incontaminata e solitaria, dove abbiamo festeggiato l’ospite con un brindisi solidale, ovviamente a sue spese.
Il quarto giorno abbiamo visitato l’area archeo-industriale delle miniere di Ingurtosu, partendo dalla chiesa di Santa Barbara, dai resti del villaggio operaio, nel quale la lungimirante società mineraria, la Pertusola, aveva costruito luoghi di svago e ritrovo, scuole e presidio medico, attenuando con slancio illuminato il duro lavoro e lo sfruttamento delle maestranze: uomini, donne e a volte anche bambini. Ammirato il palazzo Bornemann, sede della direzione, con bifore neogotiche e dopo una sosta al Pozzo Gal, dove sono conservati le gabbie, le torri ed i meccanismi giganteschi di discesa e risalita nei pozzi minerari, ed alcune foto ai resti della imponente Laveria Brassey, del 1900, intitolata al presidente della società, dove lavoravano circa 100 persone, soprattutto donne, che trattavano quasi 500 tonnellate al giorno di minerali di piombo e zinco, siamo scesi al mare, al deserto sabbioso di Piscinas, suggestiva e vecchia stazione di imbarco dei minerali, in un territorio di dune costiere tra i più belli d’Italia, dove la tortuosa e resistente macchia mediterranea sfida le vorticose sabbie sollevate dal maestrale.
Qui abbiamo pranzato in un ristorante di grande fascino, ricavato nella vecchia stazione ferroviaria dalla quale venivano imbarcati sulle bilancelle, un tipo particolare di imbarcazioni, i minerali diretti a Carloforte e poi in Nord Italia o in Francia.
Dopo pranzo, ci siamo rilassati al primo fresco sole di un insolito maggio.
Il quinto giorno abbiamo salutato Fluminimaggiore e ci siamo diretti a Carbonia, dove ci aspettava una visita alle gallerie della Miniera di Monte Sinni, da cui si estraeva un tempo il carbone, che ha dato il nome alla città. Finora avevamo visitato solo miniere da cui venivano estratti soprattutto zinco e piombo e quindi questa ultima immersione nel mondo minerario della Sardegna meridionale ci permetteva di completare il viaggio e la conoscenza di un passato, non troppo lontano, di lavoro e di vita duri e spesso disumani, dove lo sfruttamento delle persone si mescolava sorprendentemente, come abbiamo visto, ad innovazioni tecnologiche d’avanguardia che la ricerca sempre maggiore del profitto e la concorrenza spingevano a sperimentare ed a realizzare, in un contesto quasi immobile, nel tempo, di miserie e sofferenze umane.
Ma tutto ha una fine. Quando le società minerarie, francesi, belghe, inglesi e tedesche, hanno cominciato a capire che, a causa dei primi e sacrosanti scioperi dei minatori e di nuove frontiere internazionali di approviggionamento e lavorazione dei minerali, il businnes delle miniere sarde stava tramontando, si affrettarono a cedere le loro concessioni, il destino di questo mondo era segnato e lo stesso intervento della Regione Sardegna, che aveva puntato su un salvifico processo di regionalizzazione, non ha prodotto risultati e le miniere nel giro di pochi anni sono state tutte chiuse.
Oggi appare tutto come un grande cimitero della memoria, in superficie ruderi di villaggi e di case di tecnici e direttori, laverie e stazioni marittime, nel ventre della terra infinite gallerie perse nel tempo e solo in minima parte accessibili ad un turismo di nicchia, che ci è parso più europeo che italiano, percorsi sotterranei attraverso cui quella terra gloriosa di fatiche e di morti, di sudori e di sofferenze respira ancora il suo alito di vita.
A mezzogiorno abbiamo pranzato a Carignano del Sulcis, nella Cantina Santadi, una delle più prestigiose di Sardegna, dove ci hanno servito un porceddu squisito, salumi e formaggi locali, accompagnati da ottimi vini, come il Terre brune, il Rocca rubra ed altri. Alla sera, forse per la prima volta, una cena frugale, da hotel, in chiara controtendenza rispetto alle nostre abitudini slowfoodiane e alle precedenti abbuffate di grande spessore culinario.
I due ultimi giorni li abbiamo trascorsi a Cagliari, dove siamo giunti dopo una sosta nel magico insediamento archeologico di Nola. Cagliari è stata una sorpresa, con i suoi stagni abitati da agili ed eleganti fenicotteri rosa, con la sua aria di porto marino, con i suoi palazzi ottocenteschi schierati sul mare, con le sue accoglienti vie e piazze del centro storico, con il suo castello abbarbicato tra i gabbiani in volo, con il suo prezioso museo, dove vale assolutamente la pena di vedere i giganti nuragici ed i bronzetti, che testimoniano ancora una volta l’arte creativa dell’uomo, in ogni epoca storica.
In città abbiamo mangiato in tre locali suggestivi.
Il primo è stato l’ex Convento di San Giuseppe dove la cena, non eccezionale, è stata compensata dal contesto architettonico straordinario e dall’accompagnamento musicale delle launeddas, strumento antichissimo e identitario dell’isola. Il secondo è stato il Pintaderas, dove abbiamo assaporato forse il migliore porceddu del viaggio ed ottimi formaggi. Il terzo infine è stato l’osteria Su Tzilleri e su Doge, ai bastioni, dove siamo arrivati gastronomicamente esausti e dove le ottime ed abbondanti portate sono diventate un mix serale di tentazioni all’assaggio di tutto, di mugugni di gusto, di sospiri di soddisfazione, di grugniti di sazietà, conditi dalla speranza che una lunga e fresca camminata verso l’albergo ci assicurasse una giusta ed auspicata digestione.
L’ultima mattinata è scivolata via lentamente, in pieno relax per le suggestive strade del capoluogo sardo.
Sulcis
Terra di rocce scure
antiche eredi
di sussulti epocali
scavata un tempo
da tetre miniere
antri infernali
di soffocanti polveri
e stenti disumani
in un mondo martoriato
da avidi attori
di progresso e miserie
di vita e di morte
Mare ventoso
sparso di squarci turchesi
incontro a sabbie brune
spinte su macchie mediterranee
a invadere dunosi declivi
Salvifiche torri
erte su speroni protesi
sopra acque perenni
ove albergano bianchi gabbiani
a covare il loro futuro.
Pecore brade
a brucare aromi erbosi
su resti di nuragiche pietre
e orme di popoli invasori
di lontane genti marinare
ansiose di spazi ignoti
e di altre culture
Gente temprata
da storiche sofferenze
di migrazioni pastorali
e di fatiche agresti
orgogliosa di separatezza
e di storia vera
vissuta e narrata
con umile ardore
che avverti profonda e radicata
nelle sacre sue tradizioni
Alimenti dai cento sapori
di esperienza e passione
che profumano ancora
di campagna e di ovili
e di atavici sudori
cibi autoctoni e generosi
nei loro tanti odori
di vita trascorsa e presente
offerti in deschi domestici
restii a inospitali rifiuti
Terra agra
dove il sogno inquieto
di un dovuto riscatto
insegue simboli crociati
nostalgie di vinte battaglie
su mori invasori
scelti a glorioso vessillo
per un nuovo domani.