Nei primi decenni del 1400, nell’alta pianura trevigiana, un po’ trascurata dai veneziani e dove le poche opere idrauliche erano fatiscenti, si manifesta un risveglio demografico e dell’attività agricola, che richiede un maggiore bisogno di acqua. Attorno agli anni venti del 1400 prima il Comune di Castelfranco chiede di derivare un canale dal Piave a Pederobba per irrigare le sue campagne e a seguire sono due funzionari del Comune di Treviso, Andrea da Quero e Paolo da Pederobba, a proporre la costruzione di tre diversi rami o canali per portare l’acqua del Piave da Quero all’alta campagna trevigiana.
La proposta prende piede all’inizio del 1436 quando il Comune di Treviso la presenta al Senato veneziano. I primi obiettivi principali di questo progetto sono l’alimentazione di persone ed animali e l’irrigazione delle campagne, a cui si aggiungono successivamente il trasporto delle merci e la produzione di energia.
La proposta viene approvata il 22 marzo del 1436 dal Senato veneziano il quale stabilisce che parte delle acque del Piave, catturate a nord del Montello, siano condotte fino alle bocche del Montello e di Montebelluna, oltre le quali dovranno scorrere e sparpagliarsi per la campagna trevigiana fino a metter capo nel Sile.
I lavori iniziano abbastanza presto ma poi si interrompono per riprendere nel 1443, anno in cui viene anche istituito un apposito Ufficio delle acque. Lo scavo del canale Brentella arriva a Caerano nel 1446. Sei anni dopo, nel 1452, viene concesso un primo mulino, nel tratto di Caerano, al notaio trevigiano Martino da Cornuda.
Pochi anni dopo, nel 1456, a Caerano, lungo il canale Brentella, oltre a 4 mulini ad acqua, diventa attiva, in località Lavaggio, chiamata allora Inferno, una fucina per i metalli, detta anche battiferro, concessa ad un certo Antonio Zanibelli dall’Ufficio delle acque. Contava presumibilmente su una ruota ad acqua, situata non sul canale principale, ma su una canaletta ausiliaria o “bova bastarda”, che doveva prendere e poi restituire l’acqua al corso principale, il quale doveva essere lasciato libero per una maggiore scorrevolezza delle acque e per l’eventuale trasporto di merci, a cui nelle intenzioni dei progettisti doveva essere destinato il canale Brentella.
Era il cosiddetto Maglio d’Inferno, ancora oggi esistente, anche se inutilizzato ed in stato precario.
Probabilmente, in questo come negli altri opifici o mulini, nessuna di queste canalette fu realizzata dagli assegnatari e negli anni seguenti ci furono diverse proteste per la scarsa efficacia, ai fini irrigui, del canale a causa di seriole abusive o delle mancata costruzione di queste bove bastarde.
D’altra parte anche allora non mancavano i favoritismi e le connivenze, tanto più che spesso i concessionari erano ben ammanigliati con l’ente concedente.
Il Zanibelli, ad esempio, era sovrastante agli scavi della seriola (canale secondario) di Montebelluna e quindi in palese conflitto d’interessi, diremmo oggi, ma la cosa riguardava anche altri concessionari di opifici dell’epoca, come i Bolognato, gli Onigo, i Bettignoli ed altri.
Il maglio d’Inferno non fu il solo battiferro autorizzato in zona, ma fu sicuramente il più importante.
Negli archivi del consorzio Brentella si trova traccia di un altro maglio, 450 pertiche trevigiane più a sud, appartenente insieme ad un mulino da grano e ad uno da gesso, ai fratelli Tiberio, ma viene demolito poco dopo e trasformato in altro mulino da grano.
Un nuovo battiferro venne concesso nel 1671 a Paolo e Girolamo Pola, insieme ad un follo da panni (che però avra vita breve) lungo la seriola Barbariga, entro i confini di Caerano, battiferro che passerà nel 1736 ai veneziani Gradenigo, ma del quale non si conservano le tracce.
Del nostro maglio d’Inferno troviamo invece traccia nel 1865 quando risulta appartenere, insieme ad un mulino da grano, ai fratelli Vello Antonio fu Giobatta, Luigi, Giuseppe e Pietro fu Sebastiano.
Ancora oggi il nostro maglio d’Inferno appartiene ai discendenti di quei Vello (oggi Velo), in particolare ad un certo Velo Roberto, residente a Padova.
Nel 1901 Paolo Viganò acquista dai fratelli Vello il diritto d’uso d’acqua dei loro opifici, tra cui il maglio, per costruire una importante centrale idroelettrica, ma sappiamo per certo che l’attività di questo maglio è continuata fino a qualche decennio fa.
Oggi avrebbe bisogno di un restauro, previa autorizzazione del proprietario, la cui spesa, dopo un sopralluogo sommario, con un impresario edile, potrebbe aggirarsi attorno ai 100.000 euro, per i quali ritengo si possa attingere anche a risorse regionali o europee.
N.B. – Notizie tratte dal libro “Brentella” di Raffaello Vergani e dal libro “Caerano dalle origini al XVII secolo” a cura di L. De Bortoli e D. Zanetti