22 marzo 2018. Perché il PD ha perso le elezioni.
In questi tristi tempi di voluta e cercata sospensione dalle tiritere televisive sulle ipotesi di governo, sui richiami al senso di responsabilità del PD, soprattutto da parte dei giornalisti che per 5 anni lo hanno massacrato, mentre è sparito ogni riferimento all’invasione dei migranti e al problema della sicurezza dei cittadini, anche perché a continuare gli omicidi, in questi giorni, sono soprattutto degli italiani, ho riflettuto sui motivi per i quali un partito che in 5 anni di governo ha portato il paese quasi fuori dalla crisi:
con quasi tutti i dati economici in segno positivo
con risultati incoraggianti per quanta riguarda l’occupazione
con una politica culturale efficace ed innovativa
con riforme relative ai diritti civili attese da anni
con iniziative importanti a sostegno dei consumi e delle persone meno abbienti
con importanti correzioni alla legge Fornero
con finanziamenti alle imprese innovative
con recuperi consistenti dell’evasione fiscale
con la notevole, anche se tardiva, diminuzione degli sbarchi di immigrati
con la limitazione di alcuni, anche se non di tutti i finanziamenti e privilegi dei politici e della politica
con gli interventi a bloccare la deriva delle banche venete e dei crediti cooperativi vari ecc.
ha perso in maniera così pesante le elezioni.
E’ vero che:
chi governa, soprattutto in periodi di crisi, paga pegno, quasi dappertutto, per le riforme fatte
la sinistra è in crisi in tutta Europa, incapace di dare risposte alle conseguenze negative della globalizzazione
ma ci sono stati anche motivi specifici e del tutto italiani, come i seguenti:
la riforma della scuola, in buona parte positiva, secondo me, ma gestita male
Il fenomeno immigrazione, lasciato incancrenire e ingigantire a dismisura dai media “sciacalli”
Il tema dell’autonomia regionale, ripreso da Maroni e Zaia, e non da noi (a parte l’Emilia Romagna), una volta che la Lega aveva abbandonato l’idea del Federalismo
l’impressione di non voler andare fino in fondo (vedi proposta Giachetti) sulla questione privilegi
l’avere investito tardi e poco su misure di contrasto alla povertà e alla disoccupazione, contrastando meglio la volatile proposta del reddito di cittadinanza
l’eccessivo abbandono dell’attività politica tra la gente, nei quartieri e nelle fabbriche, con l’assorbimento delle energie nell’amministrazione, nella burocrazia di partito
gli errori di Renzi e della sua squadra, l’arroganza, la presunzione, reali ma anche molto ingigantiti dalle dinamiche interne, che hanno indebolito il PD di fronte all’attacco sistematico e massiccio delle opposizioni e dei media, come successo anche ai tempi di Prodi e Berlusconi, sport ormai endemico nella vita politica italiana, tanto da farmi ritenere che la casta dei giornalisti non sia migliore di quella dei politici. Assieme a quella della magistratura: giudici, PM e avvocati compresi
l’esagerazione e la incapacità di saldare il partito degli iscritti con quello liquido, degli elettori, un’idea moderna e brillante, ma forse estranea alla nostra mentalità ed alla nostra storia
Io credo però che un ruolo non secondario abbia giocato anche e soprattutto un’altra questione, quella delle continue divisioni interne e della scissione, malattia atavica e ricorrente nella sinistra.
Per anni Renzi è stato accusato di fare il padroncino, di voler costruire un PD personale, questo dentro l’unico partito veramente democratico rimasto in campo e dove tutti, espressione di minoranze interne anche marginali, hanno potuto continuamente distinguersi, criticare, pretendere modifiche alle proposte della maggioranza, ottenerle, ma poi votare ugualmente contro, al referendum o in parlamento.
Renzi è stato accusato di snaturare il PD, malgrado il sostegno bulgaro dimostrato ripetutamente dalle primarie. Snaturarlo da chi? Dal popolo democratico che lo ha sempre sostenuto alla grande? Imparassero da Corbin e da Sanders i nostri dissidenti e la smettano di imputare a Renzi, o solo a lui, il non aver mantenuto il contatto con la gente proprio loro che non hanno rispettato il contatto ed i consensi degli iscritti ed elettori al loro partito e al loro segretario.
Ora, se si riflette un po’, tutti gli altri partiti, tranne i “cugini” di LEU, sono partiti monolitici in cui non c’è nessuno che dissente, che critica, che vota contro e, se succede, magari viene espulso.
I vari capi, Berlusconi, ma pensate!, ancora di più Meloni, Salvini e Di Maio sono leader indiscussi, veri padroni del partito (Di Maio su delega di Grillo e Casaleggio) e nessuno degli emeriti giornalisti che tanto hanno criticato Renzi per il suo giglio magico e per il suo dispotismo si straccia le vesti. Che paradosso! Gli eredi del PCI, partito a suo tempo monolitico, sono diventati peggio della tanto combattuta Democrazia Cristiana (divisa in tante correnti, ma almeno sempre pronta a serrare i ranghi nei momenti difficili) e ad ereditare il vecchio centralismo democratico sono oggi gli avversari politici.
La gente ha voglia di chiarezza, di capi che possano decidere, di gruppi identitari dove non ci siano continuamente faide e lotte fratricide e noi l’abbiamo stancata oltre ogni limite.
Secondo me, molti di sinistra hanno detto basta e la prova provata sta anche nel ridicolo risultato di LEU e dei sinistri, che pensavano che bastasse la solita tiritera del lavoro, della povertà, delle periferie e degli investimenti statali per ridimensionare Renzi e il suo PD, a loro vantaggio.
Troppe discussioni, spaccature, divergenze, personalismi, correnti e torrentelli, minano da sempre il consenso e di troppa libertà rischia di morire la democrazia ed anche la libertà stessa, prova ne sia il pericoloso, almeno per me, imperversare nei social, ma anche in alcuni giornali, di accuse gratuite, insulti e falsità che nessuno denuncia, che nessuno pensa di bloccare e che si prestano perfino a falsificare il libero e sano gioco democratico.
La libertà ha bisogno del filtro dell’intelligenza, dei confini del lecito e del rispetto di quella altrui.
Diamoci una mossa e discussioni si, confronti anche, ma poi serve rispetto delle minoranze interne, ma soprattutto rispetto della maggioranza. E chi non ci sta vada pure con i 5 stelle o con Salvini, a dissentire e ad esercitare il suo concetto di democrazia e di libertà.
Post scriptum
Che il PD abbia perso non c’è dubbio, ma c’è qualcosa che non mi quadrava io non sono bravo in matematica.
Se guardiamo ai singoli partiti, come sostiene giustamente Di Maio, visto che la legge era per 2/3 proporzionale, i 5 stelle hanno vinto perché sono il primo partito. Però il secondo partito non è la Lega, che sicuramente ha fatto un grande balzo in avanti, è il PD, ridimensionato fin che si vuole, ma è il PD.
Se guardiamo alle coalizioni, ha vinto la destra, ma ha vinto solo per 1/3, la parte uninominale.
E’ un bel rebus quello che dovrà risolvere Mattarella.
Ogni tanto si sta bene anche in panchina e lasciare che la partita la giochino gli altri.
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